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L’ultima
performance di Kerry Meno di un mese e si gira
pagina Mentre
il segretario statunitense John Kerry nella sua relazione al Dipartimento di
Stato sul medio oriente era costretto ad ammettere che la proposta dei due
Stati in Palestina era a rischio, la Russia si defilava dal quartetto
convocato a Parigi il prossimo 29 gennaio. Infatti Putin voleva rinviare il
voto del Consiglio di sicurezza dell’Onu sugli insediamenti israeliani, in
attesa che Donald Trump si fosse insediato alla Casa Bianca. La Russia ha
raggiunto un’intesa con Israele sulla Siria e non intende comprometterla.
Kerry ha così preso un’altra botta, l’ennesima. Dopo non aver trovato una
soluzione per la crisi in Yemen, a dimostrazione che la presidenza Obama è
riuscita nell’impresa formidabile di inimicarsi i sauditi, non ha nemmeno
saputo conquistarsi gli iraniani. Per l ’Iran, il ruolo di Assad in Siria
resta una priorità ineludibile di ogni equilibrio in Medio oriente. Israele,
invece, è un male comunque, si espanda o meno in Cisgiordania. Soprattutto
l’Iran non ha nessun interesse a vedere sorgere un eventuale Stato
palestinese che potrebbe rilanciare una leadership sunnita che manca nella
Regione dalla caduta di Saddam Hussein. Kerry ha solo convinto la Gran
Bretagna, che con una nuova presidenza statunitense potrebbe sempre cambiare
idea. Se il laburista Blair passò molto rapidamente dall’intesa con Clinton a
quella con Bush, perché mai un premier conservatore dovrebbe ostacolare
Donald Trump? Disgraziatamente, la tesi del segretario di Stato Kerry,
secondo cui i due Stati sono l’unica condizione per la pace, presenta un lato
debole: la maggioranza del popolo palestinese ancora non riconosce Israele.
Non sarebbe Abu Mazen il leader del nuovo Stato palestinese, ma i capi di
Hamas. E Hamas non si indebolisce se Israele rinuncia alle colonie in Cisgiordania,
al contrario, come è avvenuto dopo il ritiro dalla Striscia di Gaza nel 2005,
Hamas si ringalluzzisce ogni volta che Israele molla la presa.
L’amministrazione Obama fin dai suoi esordi ha fallito nella politica in
medio oriente e la morte del povero ambasciatore Stevens a Bengasi lo ha
certificato. La buona notizia è che quella di Kerry è stata l’ultima
performance. Meno di un mese e si volta pagina. Roma, 29
dicembre 2016 |
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